Sinodo: Un modo di camminare (Lettera di Bose)

di | Dicembre 30, 2021

Un modo di camminare

Lettera agli amici Qiqajon di Bose n. 71 – Avvento

 

Cari amiche, amici, ospiti e voi che ci seguite, lontani e vicini,

con questo autunno la chiesa cattolica in tutto il mondo ha avviato a livello locale un cammino comune verso il Sinodo dei Vescovi del 2023, dedicato proprio alla sinodalità. La chiesa che è in Italia, oltre a mettere in atto le indicazioni in tal senso provenienti da papa Francesco e dalla Segreteria generale del Sinodo, ha a sua volta intrapreso il percorso di un proprio sinodo, come auspicato più volte dallo stesso papa Francesco. Due istanze complementari che offrono un’opportunità privilegiata per riflettere su cosa significa essere Chiesa nell’oggi della storia, attingendo a un duplice respiro: la realtà locale e la dimensione universale.

Non sembri strano un sinodo sulla sinodalità: si tratta di riflettere insieme, come comunità credente, sullo stile del nostro essere cristiani, sulle modalità che danno forma al nostro essere discepoli del Signore, sulla qualità delle relazioni e del nostro modo di comunicare e di assumere decisioni… In una parola su come mettere in pratica l’ammonimento di Gesù ai suoi discepoli: “Tra voi non è così!”, il vostro modo di esercitare l’autorità e di orientare le scelte comuni non è quello mondano.

Tuttavia, questo processo non è affatto semplice e deve scontrarsi con difficoltà che hanno segnato la deludente attuazione della volontà sinodale del Concilio Vaticano II – poca convinzione dei pastori, “la debolezza dell’ordinamento canonico occidentale che ha accolto le posizioni del Concilio riducendole ai suoi minimi livelli” (Severino Dianich), clericalismo perdurante – e che hanno portato il teologo Hervé Legrand a denunciare “il sottosviluppo della sinodalità nella chiesa cattolica”. Cosa che ha evidenti ripercussioni negative anche sul piano dei rapporti ecumenici sia con le chiese ortodosse che con quelle della Riforma. A quelle difficoltà oggi possiamo aggiungere una generalizzata stanchezza, una diffusa sfiducia, lo sfibramento dovuto alla crisi della pandemia.

Ora, con il sinodo sulla sinodalità, papa Francesco affronta di petto la crisi che la cattolicità sta attraversando e cerca di farne un’occasione di futuro, di ripresa, di rinnovamento. Egli ha in vista il futuro della chiesa e intende aprire un processo che dovrà proseguire ben oltre la sua persona e il suo pontificato. Del resto, nei momenti di crisi occorre il coraggio di passare dalle risposte alle domande. Ovvero, rendersi conto che le linee su cui si stava camminando in tanti ambiti della vita ecclesiale, erano in origine nient’altro che risposte a domande. Occorrerà dunque capacità di interrogare e di interrogarsi. E questo per un lavoro di verità e di umiltà, di critica e di autocritica. Che richiede anche il coraggio e la disponibilità a rimettere in discussione modi di pensare non più adatti a leggere e interpretare la realtà attuale: si dovranno dunque rivedere atteggiamenti, comportamenti, forme di presenza che rischiano di essere tenuti artificialmente in vita, ma sono dichiarati superati e morti dalla storia. Occorrerà attivare due doti che papa Francesco ha più volte menzionato come necessarie per la conversione pastorale della chiesa, ovvero immaginazione e creatività. E fare questo insieme. Immaginare significa partire dalla realtà, analizzarla, pensarla, studiarla, quindi elaborare insieme i dati emersi per abbozzare risposte e ipotesi di soluzione. Ciò che è immaginato non c’è ancora: l’immaginazione origina quel non-ancora che apre prospettive, dona speranza, motiva all’azione, apre orizzonti di futuro. È categoria profetica. E se parte dalla realtà – quella realtà che dovrebbe essere espressa nella sua complessità dalle comunità cristiane che daranno il loro contributo al percorso sinodale – l’immaginazione ritorna poi alla realtà, ma come potenza creativa, portatrice di novità, dinamizzante.

Certamente, lo sforzo di tutti coloro che si lasceranno coinvolgere nel cammino sinodale dovrà avere anzitutto a cuore l’affinamento dell’arte dell’ascolto e della Parola. Se la sinodalità è la pratica ecclesiale della comunione, la dinamica che essa vuole attivare è quella della comunione e questa non può certo essere esaurita in momenti istituzionali: il luogo della sinodalità è infatti la vita. Le istituzioni della sinodalità sono a servizio della vita e della comunione. Altrimenti il rischio della deriva burocratica e del considerare fine ciò che non è che mezzo può stravolgere anche gli strumenti più santi.

La concreta dinamica della comunione passa in modo particolare attraverso il potere della parola e l’arte della comunicazione. La riscoperta della parola di Dio nella Bibbia e nella Liturgia attuata dal Vaticano II non sembra essere andata di pari passo con l’adeguata valorizzazione della capacità di parola del credente. Per cui oggi il credente dialoga con il Signore con la lectio divina personale e in gruppi biblici, partecipa coscientemente al dialogo liturgico, ma poi si trova praticamente senza voce nell’ambito più quotidiano della fede così come della vita ecclesiale e delle sue istituzioni. Imparare la sinodalità significa anzitutto imparare a parlare e ad ascoltare, ben sapendo che non si tratta di due momenti alternati, ma contemporanei. Parlare e ascoltare sono una cosa sola: la parola autentica ascolta e dà la parola all’altro; l’ascolto autentico è eloquente e parla a sua volta.

Certo, libertà di parola significa anche libertà di argomenti da affrontare e mettere sul piatto. Il che significa che la conclusione del lavoro sinodale tanto a livello nazionale quanto a livello mondiale probabilmente vedrà una situazione di crisi non superata ma aggravata, ovvero, della cui profondità e gravità si sarà tutti più coscienti. In ogni caso, il lavoro sinodale richiederà anche la dote della pazienza. I tempi della realizzazione e della ricezione di progetti alti e impegnativi, progetti che riguardano intere comunità ecclesiali, così come del cambiamento di mentalità, della conversione, richiedono tempi lunghi. Ma appunto, il momento istituzionale è solo propedeutico a un cambiamento esistenziale, vitale.

Proprio la dimensione insieme locale e universale e la dilatazione dei tempi di svolgimento delle sue varie fasi – volute da papa Francesco per questo percorso sinodale – sono occasione per prendere atto di come l’attuazione del Vaticano II sotto l’aspetto della sinodalità ha conosciuto e conosce livelli e avanzamenti molto diversi nelle varie regioni del mondo. Basterebbe confrontare il cammino sinodale compiuto dalle chiese in America Latina in questi cinquant’anni di post-concilio con quello intrapreso dalle chiese in America del Nord oppure accostare il processo sinodale avviato in questi ultimi anni dalla chiesa cattolica in Australia con quanto messo in atto dalle chiese in Europa.

 

Vale la pena riprendere in questo senso le parole con cui il segretario generale del Sinodo card. Mario Grech, rivolgendosi all’Assemblea ecclesiale dell’America Latina e Caraibi, ha dato atto delle ricadute universali del loro modo di vivere le assemblee sinodali: quello che state vivendo in questi giorni “è un contributo in continuità con la storia e l’esperienza della chiesa in America Latina, che dal Concilio in poi è stata caratterizzata dalla particolare forma di camminare insieme […] Le Assemblee generali del CELAM non sono solo riunioni di vescovi; non sono nemmeno incontri dove ci sono solo alcuni vescovi. […] Nella logica della cattolicità come scambio di doni tra le Chiese, indicata dal Concilio Vaticano II, la chiesa di questo continente ha anche un altro dono da offrire a tutta la chiesa – un dono che voi avete custodito meglio delle altre Chiese: quello di comprendere la chiesa come popolo di Dio”.

Se la chiesa cattolica come popolo di Dio si manifesta come “un insieme di vasi comunicanti” (Massimo Faggioli) allora il “sinodo sulla sinodalità” costituisce un’opportunità difficilmente ripetibile per attivare il flusso di doni da un vaso all’altro, dalle chiese di una regione del mondo alle altre, a beneficio dell’intero popolo di Dio e dell’umanità tutta.

Per altro verso, l’ampiezza e la profondità della tragedia della pedofilia nella chiesa ha mostrato il carattere nefasto di una prassi di omertà e di rimozione proseguito per decenni e che si è accompagnata a un esercizio dell’autorità irresponsabile, nel senso etimologico di chi ritiene di non dovere rispondere né dare conto del proprio operato di fronte ai fedeli (su un tema che invece, ovviamente, li riguarda da vicino) e costituisce l’esempio più evidente di un difetto di sinodalità nel senso di carenza di ascolto reciproco nella chiesa, di carenti consultazioni, di mancanza di prudenza e ponderazione nell’uso della parola. Si rivela sempre più necessaria una prassi di trasparenza della parola che solo la sinodalità può assicurare, altrimenti si dovrà darla vinta alla parola del potere (ecclesiastico, in questo caso) che si mostra vincente sulla potenza che sgorga dall’ascolto della parola di Dio e diviene ascolto reciproco, dialogo nella comunità cristiana e parola profetica nella chiesa e nel mondo.

Certo, la sinodalità non è una panacea e deve fare i conti con il fatto che la responsabilità, come la libertà, è facile da rivendicare e difficile da portare. E che spesso, alla prova dei fatti, emergono resistenze e deleghe di fronte all’esercizio di responsabilità ecclesiali. Tuttavia la sinodalità esprime la comunionalità della chiesa e aiuta una vita ecclesiale più conforme al Vangelo e più rispettosa dell’umano ricordando che ogni membro della chiesa è una persona ben più e ben prima che un ruolo o una funzione. Essa aiuta a vivere l’equilibrio fra autorità e partecipazione nella chiesa e ad articolare in modo adeguato parola di Dio e parola dell’uomo, nella convinzione che proprio la parola è il luogo dell’immagine divina nell’uomo. Essa instaura un’ascesi della comunicazione aiutando la liberazione dalla parola che manipola, che adula, che abusa. In questo modo essa può aiutare la chiesa a vivere al proprio interno relazioni meno preoccupate dell’efficienza e più umanizzate e così a narrare agli uomini il Vangelo, la buona notizia, con una comunicazione anch’essa buona.

I fratelli e le sorelle di Bose

Bose, 8 dicembre 2021

Anniversario della chiusura del concilio Vaticano II